“Un buon posto per dimenticare”. Una frase che appare come un leit motiv, forse solo un po’ amaro e fottutamente ossessivo. Perché probabilmente un buon posto per dimenticare lo vorremmo cercare tutti, ma fondamentalmente vogliamo cercare un posto dove ricordare o meglio dove elaborare correttamente i nostri ricordi, esorcizzare i nostri errori.
“Da qui” è un disco che ho amato fin da subito, scritto bene e suonato altrettanto bene. Parole che si mescolano alla musica, che è in grado di rappresentare non solo un tappeto sonoro, ma a tratti di diventare il coprotagonista delle parole, che trasmette pensieri ed emozioni ben decifrabili. Il disco dei Massimo Volume che probabilmente raccoglie i brani a cui sono più legato come “la città morta” o “qualcosa sulla vita”. Brani che evocano luoghi e pensieri, poi riflessioni che durano un istante, quel momento che intercorre tra ciò che l’occhio cattura e ciò che il cervello elabora. Situazioni in cui ci immergiamo o in cui ci troviamo immersi e forse questo continuo nuotarci senza regole determina la nostra particolarità di essere umani, ma anche la nostra insignificanza, come in un posto sconosciuto dove “nessuno immagina chi siamo”.
Luoghi che divengono simboli della nostra condizione o dei nostri pensieri. “Il gelo ha ricoperto i vasi/su questo terrazzo dove non andiamo mai/Il vento piega gli alberi/e tende i fili/dove nessuno stende più la biancheria”. I testi di Clementi non parlano di grandi cose ma di macrocosmi rappresentativi del tutto, accompagnati dalle tensioni elettriche di Egle Sommacal e in generale da atmosfere penetranti, scandite dalle ritmiche geometriche di Vittoria Burattini.
Questo disco uscì nel 1997, un anno in cui uscirono molti altri dischi italiani cui sono particolarmente legato e verso i quali nutro il medesimo affetto che potrei riservare per un essere umano. Perché alla fine non siamo altro che esseri umani, con un software già installato, le cui emozioni sono il risultato di ciò che abbiamo vissuto, di ciò che immaginiamo e di ciò che è in grado di unire più ricordi e situazioni possibili. Probabilmente non ci stancheremo mai di dire che cerchiamo “un buon posto per dimenticare”, solo per affermare che cerchiamo il modo di trasformare i ricordi in parti di noi stessi.
Alla prossima, vostro Piero…