#LAGUERRADIPIERO: Una chiave per salvarmi (di Piero Guerra)

C’è una regola non scritta, ma che non è propriamente una regola, piuttosto una condizione naturale: quella che comporta che tutti gli artisti riescano a comporre o comunque a realizzare il meglio della propria opera in giovane età. Se pensiamo, infatti, a parecchi artisti, possiamo riscontrare questa caratteristica, ma il punto è: perché? Penso che potremmo stare ore a parlarne e penso anche che tutte le considerazioni che ne potrebbero uscire avrebbero un fondo di verità. A mio avviso ritengo che con l’avanzare dell’età si diventi più razionali e meno “artisti”, ma è una semplificazione e me ne rendo conto, mi aiuta, però, a far capire meglio quello che voglio dire. “Anime Salve” di Fabrizio De André esce nel 1996 ed è il suo ultimo disco in studio e secondo me è in assoluto il suo disco più bello. Intendiamoci è un disco di De André e à la De André ma con quella componente razionale (appunto), che in tal caso è un valore aggiunto rispetto ad altri suoi dischi presi nel loro complesso. Un insieme di storie e di quadretti che hanno il potere di proiettarti in un universo parallelo, che fondamentale è il nostro piccolo mondo, amato e/o odiato, visto con gli occhi di un artista della parola.

Entrai in possesso per puro caso di quel disco, avevo sedici anni e fu per me la chiave che mi permise di aprire la porta e accedere all’universo di Fabrizio De André, una realtà e un punto di vista di cui avevo bisogno e che mi aiutò a crescere e a comprendere delle cose, che adesso do per scontate. Quella che pare una banalità, ovvero che il De André dovrebbe essere nei libri di scuola di letteratura, è una sacrosanta verità, ma io preferisco sempre dire semplicemente “tutti i ragazzi dovrebbero ascoltare e capire De André”, se poi lo fanno a casa, a scuola, per conto loro o con chissà chi, non ha importanza, quando una cosa “puzza” d’insegnamento, forse perde valore (soprattutto a 15 anni) e De André si può amare anche da “autodidatta”.

Una volta scoperto tutti i suoi lavori e la loro bellezza, ogni disco aveva una sua ragione e una sua vita, oltre a capire che da lì in poi certe canzoni sarebbero rimaste sempre con me, compresi come quella “chiave”, che appariva come un dépliant di un fantastico posto nel quale fare un’infinità di magiche escursioni, era ciò cui ero più legato e che ancora oggi non riesco a non sentire da capo a fine, perché ogni disco dovrebbe essere così: vivo.
Alla prossima, vostro Piero…


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Stefano D'Offizi

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