Foo Fighters – Concrete and Gold (Roswell/RCA Records, 2017) di Mario Orefice

 

Negli Stati Uniti d’America, nell’anno 2017 DC, regna la legge non scritta Dave Grohl = Rock. Il buon Dave è ovunque, ospite nei talk show, negli award show, sulle copertine dei magazine, sempre impegnatissimo a portare avanti la causa del Rock and Roll, portavoce non ufficiale dell’intero movimento. Nei social è addirittura un meme, “In the end Dave Grohl will save us all” si legge nei bar di Londra, dove in occasione del lancio di questo Concrete And Gold i Foo Fighters hanno addirittura aperto un temporary pub… Io Dave me lo immagino come l’amico che alle elementari divideva la merenda con te, che alle medie ti difendeva dai bulli, rappresentante di istituto al liceo; quello che ti toglie il videogioco dalle mani perché “vieni a giocare a biliardino che si socializza e poi è analogico”. Buono, ubiquo, a volte invadente e insopportabile. Ma senza Dave sarebbe il rock ugualmente rappresentato in USA? Avrebbe la stessa visibiltà? Non credo.

Presentato il personaggio, com’è invece la musica di Dave Grohl? E come suona questo Concrete And Gold? Diciamo subito che è un album dei Foo Fighters e in un mondo con sempre più food bloggers e masterchef e meno rockers, si può paragonare un album dei Foo Fighters ad un menu di un’osteria, di quelle dove arrivi, ti siedi e ti sfondi di buonissimi antipasti. In quanti riescono ad ordinare il primo o addirittura il secondo? Pochi, eppure sono nel menu. Così gli album dei Foos hanno sempre uno/due singoloni da stadio mentre il resto… è nel menu, roba buona ma per i più mangioni. Manca nella discografia il disco capolavoro dall’inizio alla fine, seppur poche band possano permettersi un Greatest Hits come quello dei Foo Fighters motivo per il quale sono sempre headliner in tutti i più grandi festival estivi.

Discorso che a grandi linee resta valido in Concrete And Gold, anche se l’osteria “da Dave” ha cambiato gestione, essendo il disco prodotto da Greg Kurstin (Pink, Adele, Lily Allen). Che bizzarro questo 2017, prima i Queens Of The Stone Age si affidano a Mark Ronson, ora i Foo Fighters con Kurstin… cosa deve ancora succedere, Rick Rubin che produce Jovanotti? (Ehm…). I famosi singoloni sono lì (Run e The Sky Is A Neighborhood) ed hanno il marchio tipico FF con alternanze di arpeggi e versi melodici a ritornelli potenti e urlati, ma questa volta hanno più dinamica e manca il fattore punk che di solito li rende immediatamente accessibili. Il resto del menu è stato rielaborato e sembra alzare l’asticella. Se Sonic Highways è stato un vero e proprio viaggio nella storia del rock americano, Concrete And Gold è sicuramente un omaggio al rock inglese. Sono perfettamente riconoscibili i Led Zeppelin nella sorprendente Make It Right ed i Pink Floyd nel pezzo omonimo di chiusura del disco. I Beatles sono un po’ ovunque, a tratti i Queen, non a caso il disco è pervaso da cori, un elemento raro finora nella discografia dei Foo Fighters. Il tutto a discapito dell’hard rock più pesante che in ogni caso, aldilà della già citata e più cattiva Run, compare timido nelle ritmate Arrows e The Line pezzi che sposteresti negli ultimi tre dischi dei Foo Fighters senza accorgertene.  Il discorso cambia con La Dee Da, un’escursione nel post punk, con le melodie suadenti di Dirty Water, con la beatlesiana Happy Ever After e Sunday Rain, quest’ultime due piccole perle del disco.

Mentre la prima delicatamente rende tributo all’amico Paul McCartney (però caspita Dave un finale migliore sto pezzo se lo meritava invece del banale fade out!), Sunday Rain vede il batterista Taylor Hawkins andare alla voce principale per lasciare seggiolino e bacchette proprio a Sir McCartney (!) in un brano che come atmosfere ricorda il miglior Lenny Kravitz. Senza Dave, uno dei brani dal sound più ricercato dei Foo Fighters.

No dai Dave, non fare così, il mondo ha ed avrà ancora bisogno di te!

 

 


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Mario Orefice

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