Julia Holter – Aviary (Domino, 2018) di Giuseppe Grieco

“Mi sono ritrovata in una voliera piena di uccelli urlanti" – Etel Adnan È da questa frase che bisogna partire. A conti fatti, Aviary è solo questo. Non a caso il verso della poetessa libanese è stato scelto da Julia Holter come rimando al suo nuovo disco: non c’è altra affermazione testuale che possa definirlo meglio. Che poi, diciamolo sin da subito: ogni album composto dall’artista americana è un’opera magistrale. Dall’iniziale Tragedy al secondo strabiliante Ekstasis, per passare a Loud City Song fino all’orma penultimo Have You In My Wilderness, nessuno di loro si esime dal ricevere i suoi…

Score

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Mi sono ritrovata in una voliera piena di uccelli urlanti” – Etel Adnan

È da questa frase che bisogna partire. A conti fatti, Aviary è solo questo. Non a caso il verso della poetessa libanese è stato scelto da Julia Holter come rimando al suo nuovo disco: non c’è altra affermazione testuale che possa definirlo meglio.

Che poi, diciamolo sin da subito: ogni album composto dall’artista americana è un’opera magistrale. Dall’iniziale Tragedy al secondo strabiliante Ekstasis, per passare a Loud City Song fino all’orma penultimo Have You In My Wilderness, nessuno di loro si esime dal ricevere i suoi novanta minuti di applausi.

Personalmente consideravo e considero tuttora Have You In My Wilderness come l’apice creativo della Holter, un capolavoro di art pop quasi ineguagliabile per composizione, gusto e raffinatezza. Ci si potrebbe aspettare quindi che questo Aviary ne sia un seguito. E invece no. Tutt’altro.

Julia non deve sottostare a nessuna legge di mercato o di critica, il suo unico bisogno è il soddisfacimento dei suoi impulsi artistici, quel che poi pensino gli altri è del tutto secondario. Aviary quindi è l’ennesima svolta, stavolta il punto d’arrivo è metaforicamente caos della voliera, praticamente il caos quasi totale. È lo specchio di un’anima turbata, piegata su sé stessa dalle incertezze e dalle ansie, senza un appiglio che la sorregga.

Il senso di morboso di spaesamento è introdotto dall’iniziale Turn The Light On, un brano cameristico distorto e destrutturato. Da qui in avanti Julia ci lascia davvero pochi momenti definibili leggeri, individuabili nelle due I Shall Love. A regnare è la cacofonia semicontrollata, che in brani come Every Day Is An Emergency o nella mini suite Chaitus mettono a dura prova il nostro intelletto. Se questo turbinio sonoro sembra, in brani come Another Dream o In Gardens’ Muteness, divenire un vortice etereo, ugualmente rimane difficilmente digeribile, per l’effetto straniante e sinistro che si viene a creare.

L’effetto di tremenda instabilità è garantito, oltre che dalla struttura dei brani, anche dalla voce della Holter, non più chiara e definita come nel precedente disco ma incrinata, esitante, a briglia sciolta, a tratti somigliante al lamento caratteristico di Thom Yorke. Le varie citazioni letterario-filosofiche rendono il disco ancor più denso di quanto già non sia, e i musicisti da camera che supportano l’artista risultano fondamentali per la riuscita dell’opera.

Ennesimo capolavoro targato Julia Holter, Aviary è il disco più complesso e difficile del 2018. Necessita di svariati ascolti, io stesso ho impiegato molto tempo per comprenderlo e recensirvelo. Il consiglio che vi do è quello di dedicargli la giusta pazienza che merita, sarete premiati con uno degli album più originali in circolazione.

Tracklist:

  1. Turn The Light On
  2. Whether
  3. Chaitus
  4. Voce Simul
  5. Every Day Is An Emergency
  6. Another Dream
  7. I Shall Love 2
  8. Underneath The Moon
  9. Colligere
  10. In Gardens’ Muteness
  11. I Would Rather See
  12. Les Jeux To You
  13. Words I Heard
  14. I Shall Love 1
  15. Why Sad Song


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Giuseppe Grieco

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