Dream Theater – Distance Over Time (Inside Out Music, 2019) di Alessandro Guglielmelli

Spiazzato. Ecco come mi sento ogni volta che ascolto un album dei Dream Theater. Spiazzato, perché, tanto per cominciare, Distance Over Time non è un concept o una vera e propria pièce teatrale, come il precedente lavoro The Astonishing, e nemmeno un’opera sperimentale o un side project. E’ un album...normale, composto da 9 tracce (10, se si considera la bonus track Viper King, riservata alla digipak edition), tutte di durata relativamente breve, rispetto alla discografia fin qui prodotta (ve la ricordate The Count of Tuscany, lunga oltre diciannove minuti?) Non si sa quanto possano aver inciso il cambio di etichetta…

Score

ARTWORK
POTENZIALITA'
CONCEPT

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Spiazzato. Ecco come mi sento ogni volta che ascolto un album dei Dream Theater. Spiazzato, perché, tanto per cominciare, Distance Over Time non è un concept o una vera e propria pièce teatrale, come il precedente lavoro The Astonishing, e nemmeno un’opera sperimentale o un side project.
E’ un album…normale, composto da 9 tracce (10, se si considera la bonus track Viper King, riservata alla digipak edition), tutte di durata relativamente breve, rispetto alla discografia fin qui prodotta (ve la ricordate The Count of Tuscany, lunga oltre diciannove minuti?)

Non si sa quanto possano aver inciso il cambio di etichetta (dalla Roadrunner alla Inside Out Music) o i tempi di composizione, pari a circa diciotto giorni, un’inezia se paragonati agli anni di lavoro necessari per il già citato The Astonishing, ma sta di fatto che i Dream Theater hanno prodotto qualcosa di immediato, carico e diretto, oserei dire “aggressivo”, pur mantenendo altissimo il loro standard qualitativo dal punto di vista tecnico.

A onor del vero, le prime impressioni dopo l’ascolto delle prime due canzoni, Untethered Angel (primo singolo dell’album) e Paralyzed, sono esattamente il contrario di quanto descritto sopra: entrambe le tracce, perfette dal punto di vista compositivo, grazie ad un buon bilanciamento tra chitarra e batteria, risultano non particolarmente originali, penalizzate forse dalla parte vocale di James LaBrie, l’unico che (inevitabilmente) accusa più degli altri il passare degli anni. Spiace ammetterlo, ma la mancanza di acuti di spessore, unita al massiccio utilizzo di effetti/filtri, ne pregiudica l’operato per tutta la durata dell’album, dando fiato a chi lo accusa da tempo di essere la zavorra del gruppo.

Spiazzato, si diceva. Sì, spiazzato è proprio la parola giusta per descrivere il mio stato d’animo all’ascolto dei primi minuti di Fall Into The Light, brano riff-driven dai più accostato ai recenti lavori dei Metallica. Il riff iniziale, composto da John Petrucci durante il G3 Tour (una serie di live show con Joe Satriani e Phil Collen dei Def Leppard) e da lui stesso memorizzato all’atto della scrittura come “Cool Riff in E”, domina la canzone e proietta chi l’ascolta in un mood che da energico si trasforma presto in qualcosa di molto più cupo. 

La traccia successiva, Barstool Warrior, ha un che di autoreferenziale dal momento che alcune delle sue melodie segnano un virtuale ricongiungimento con alcuni lavori dei The Liquid Tension Experiment, supergruppo composto, tra gli altri, proprio da Petrucci e dal tastierista Jordan Rudess. La canzone è ben riuscita, sia dal punto di vista tecnico, che per il fatto di essere “luminosa”, piena di energia positiva.
Room 137 (numero che appare anche sul teschio in copertina) vede invece il debutto del batterista Mike Mangini alla stesura dei testi, in questo caso un mix tra matematica e misticismo ispirato alla teoria quantistica. Il pezzo è piuttosto orecchiabile, tanto da richiamare alla mente radio hit di stampo hard rock, il che non è per forza un male, sia chiaro, ma soffre di mancanza di originalità, sia nella parte della composizione della musica che in quella vocale.

S2N (Signal to Noise) si apre con il basso di John Myung, cosa che non accadeva dai tempi di Panic Attack di Octavarium. Qui il livello si alza di nuovo e di parecchio, grazie agli assoli di Rudess prima e di Petrucci poi, con buona pace e godimento degli amanti dello stile air guitar.
At Wit’s End rappresenta invece la traccia più impegnata dell’intero lavoro di Petrucci e soci, dal momento che si racconta quanto successo ad una coppia, rimasta sconvolta e profondamente turbata dopo che lei è stata colpita da un episodio di violenza sessuale. Questa volta LaBrie dà il meglio di sé, aiutato dal fatto di offrire la sua voce nel duplice ruolo del narratore e della donna, cosa peraltro già vista in altre canzoni del passato come Goodnight Kiss.

Pale Blue Dot, ovvero quel “pallido puntino azzurro”, espressione venuta alla ribalta grazie all’astronomo Carl Sagan, riferendosi al nostro pianeta così come appariva nel lontano 1990 dalla sonda Voyager a sei miliardi di chilometri di distanza, si rivelerà essere la traccia più apprezzata dal sottoscritto, grazie a lunghi stacchi strumentali di alta complessità che hanno fatto la fortuna di questo gruppo, un giusto modo per chiudere degnamente l’album. Per tutti coloro, invece, che potranno godere della versione con bonus track, Viper King, palesemente slegata dal resto dall’album, strizza ripetutamente l’occhio ai Deep Purple e dimostra una volta di più come questa band sia in grado di cimentarsi con qualsiasi stile (come testimoniano i bootleg The Number of The Beast o The Dark Side of The Moon), quasi fosse un modo per riscaldarsi o per passare il tempo.

Cosa dire quindi, a conti fatti, di questo album? Come introdotto all’inizio di questa recensione, si tratta di un album complessivamente ben riuscito, immediato, coinvolgente, oserei dire “fresco”, data la presenza di pezzi non particolarmente lunghi e la misurata presenza di assoli ipertecnici. La bravura degli artisti non si discute e, anzi, rappresenta l’ennesima lezione per chi si vuole introdurre nel mondo del prog metal, ma al tempo stesso si percepisce un cambio di direzione: è chiaro ormai che, con l’abbandono di Portnoy, Petrucci rappresenta l’anima compositiva. Non a caso, sua è stata l’idea di radunare la band a Monticello, non lontano da Woodstock, in una sorta di fienile riadattato a studio di registrazione, proprio a voler cementare il feeling artistico tra ciascun componente del gruppo.

Per saggiare la realizzazione live del nuovo album, a questo punto non si deve fare altro che aspettare i prossimi tour (già confermata la loro presenza il 13 giugno al Firenze Rocks), senza dimenticare che ampio spazio verrà dato alla realizzazione per intero di Metropolis Pt.2: Scenes from a Memory, uscito esattamente vent’anni fa e considerato capolavoro assoluto della band, senza se e senza ma.

Tracklist:

  1. Untethered Angel
  2. Paralyzed
  3. Fall Into Light
  4. Barstool Warrior
  5. Room 137
  6. S2N
  7. At Wit’s End
  8. Out of Reach
  9. Pale Blue Dot
  10. Viper King (bonus track)


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Alessandro Guglielmelli

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