Frontiers Rock Festival VI – Day 2 (Report di Alessandro Masetto – Foto di Giovanni Cionci)

 

Report a cura di Alessandro Masetto  – Fotografie di Giovanni Cionci

 

Delle due giornate complessive del Frontiers Rock Festival VI, la seconda giornata in programma, quella domenicale, che andremo a raccontare nei dettagli, si presentava  certamente come la più succulenta e appetitosa, composta da bands  in linea con il sound tipico hard melodico delle passate edizioni, e caratterizzata dalla combinazione di  piacevoli ritorni, rivelazioni, e prime assolute!  

 

KING COMPANY 

I Filandesi King Company, hanno rappresentato una delle rivelazioni di questa edizione. Giunti al secondo album, sono fautori di un hard rock piuttosto energico e pomposo, con venature blues, che si ispira ai maestri Whitesnake e Deep Purple, mettendoci però molta personalità in un genere che non ha più molto da inventare. Scaletta breve ma intensa, (cinque in totale), composta da brani che attingono da entrambi i soli due dischi (finora) al loro attivo. Queen Of Heart e Shining i  due brani posizionati in apertura, che si sono distinti su tutti. Ennesimo centro e scommessa vinta della Frontiers Records!

Setlist:

  • Queen Of Hearts
  • Shining
  • King For Tonight
  • Living In A Hurricane
  • One Day In Your Life
  • In Wheels Of No Return

 

LEVERAGE 

I Leverage, finlandesi come i King Company, sono certamente una band più esperta e navigata, essendo attivi dal 2006 e con ben cinque dischi all’attivo, nonostante parecchi cambi di line-up nel corso del tempo. Con tutta probabilità, musicalmente anche più vari e tecnicamente superiori ai connazionali King Company, ma il loro hard rock classico scandinavo, un po’ power/hard e a tratti virante all’epic/prog, è apparso più monotono e meno coinvolgente. La centrale Dream World, e Wolf And The Moon, con Red Moon Over Sonora, sono stati gli unici brani della scaletta proposta oggi a lasciarmi  meno indifferente degli altri. Nel complesso non male, e neppure bocciati, i Leverage, per carità…ma certamente band non entusiasmante, e concerto di non memorabile ricordo.

Setlist:

  • Superstition
  • Burn Love Burn
  • Wind Of Morrigan
  • Mister Universe
  • Red Moon Over Sonora
  • 15 Years
  • Wolf And The Moon

 

FORTUNE 

A questo punto, con gli Statunitensi  Fortune in pole position, capitanati dai fatelli Richard e Mike (rispettivamente chitarrista/voce  e batterista), la seconda giornata del Frontiers, inizia a prendere forma e fare sul serio, incanalandosi  nel miglior modo possibile. Il loro AOR/Hard molto ottantiano, è quanto di meglio si possa sentire oggi a livello internazionale per quanto concerne questo genere specifico, più soft  e tranquillo dell’Hard Rock melodico. Larry Greene, con il suo talento innato, incanta il pubblico come un domatore di serpenti e Mark Nilan alle tastiere disegna suggestive e sognanti atmosfere nostalgiche, mai banali o ripetitive. Peccato davvero che i Fortune abbiano impiegato oltre trent’anni per dare seguito al loro capolavoro omonimo, I,  del 1985, di cui stasera ascoltiamo alcuni pezzi storici, tra cui spiccano l’iniziale  Thrill Of It All, Bad Blood, Lonely Hunter e la splendida Deep In  The Heart Of The Night. Del recentissimo II, risulta molto gradita all’ascolto Don’t Say You Love  Me, che non sfigura in scaletta  accanto ai brani  più celebri del loro glorioso passato. Concerto suddiviso tra passato e presente quindi, in cui i Fortune dimostrano di meritare un posto e una poltrona accanto ai grandi maestri  dell’AOR mondiale, come Bad English o Dare. È stato un lungo, quasi eterno sonno quello in cui erano caduti i Fortune, ma ora, anche grazie a Frontiers che li ha rispolverati e rilanciati, speriamo che non ci si debba più preoccupare di risvegliarli, auspicando il proseguimento di quel  viaggio musicale bruscamente e improvvisamente interrotto molti anni or sono. Bentornati, Fortune!

Setlist:

  • Thrill Of It All
  • Don’t Say You Love Me
  • Bad Blood
  • Smoke From A Gun
  • What a Fool
  • Through The Fire
  • Deep In The Heart Of The Night
  • Lonely Hunter
  • Shelter Of The Night
  • Dearborn Station
  • Freedom Road
  • Shelter Of The Night
  • Dearborn Station
  • Freedom Road

 

KEEL 

Un sogno che si avvera.. per me e anche credo per la maggior parte dei presenti in questa edizione del festival, vedere i Keel,  capitanati dall’istrionico “Metal Cowboy ”( come ama definirsi lo stesso Ron, con tanto di tattoo): approdano per la primissima volta nella loro carriera in Italia, realizzando e rendendo reale  quel sogno adolescenziale che sembrava non essere mai materializzabile o realizzabile. Non nascondo che le mie attese iniziali  pre-Frontiers erano quasi esclusivamente legate a  questo avvenimento,  unico ed esclusivo. Al termine  della loro sensazionale esibizione,  magari ancora in preda alle mie forti emozioni, mi vorrei sbilanciare ritenendoli i vincitori complessivi di questa sesta  edizione del Frontiers, non condividendo minimamente la scelta del loro posizionamento nel bill a metà giornata… avrebbero meritato di essere headliner, sicuramente al posto di Steve Augeri a mio parere, invertendo le posizioni ! Ma, al di là del mio mio parere personale e soggettivo, veniamo alla cronaca.. Ron Keel si presenta in gran forma, sia fisica che vocale, e già dall’iniziale United Nations, seguita  da  Somebody’s Waiting e Speed Demon scoppia il delirio generale! Un trittico di nostalgia canaglia che ci fa rivivere gli anni ’80 appieno  come meglio non si può, con un Mark Ferrari strepitoso in cabina di regia, che tesse riff  letali con la sua chitarra, come un vero rocker consumato sa fare . Ma, come nel caso dei Fortune, anche i Keel sono in debito con Frontiers per averli riuniti e rilanciati nel mercato dopo anni di silenzio, e quindi non poteva mancare nella scaletta  Streets Of Rock’N’Roll (che da’ il titolo al disco omonimo),  e  una divertente Push And Pull, del full-lenght  uscito per l’etichetta napoletana nel 2010, che riscosse molti consensi positivi di stampa e critica,  seppur meno graffiante e più “piatto” rispetto ai suoi predecessori . Because The Night è un classico da sempre dei Keel, anche se in realtà  si tratta di una cover di Patti Smith, immancabile in ogni loro concerto. Ho trovato però più interessante e più originale la riproposizione di Rock’n’roll Outlaw dei grandi Rose Tattoo, tra le due cover in setlist. Con Tears Of Fire (proposta in acustico per l’occasione), un ispiratissimo Ron Keel mattatore e trascinatore di folle, riesce a farci cantare tutti, versando lacrime di nostalgia.. ma per il gran finale con The Right To Rock e You’re The Victim non c’è più tempo per i sentimenti, e si torna a  scatenasi  ancora a ritmo di martellante Hard’N’Heavy USA cazzuto! Perfetti, totali , unici Keel. Possiamo affermare che una   leggenda vivente oggi è apparsa sul palco del  Live Club di Trezzo, lasciando una traccia indelebile nel tempo.

Setlist:

  • United Nations 
  • Somebody’s Waiting
  • Speed Demon
  • Push And  Pull
  • Street Of Rock’n’roll
  • I Said The Wrong Thing
  • Because Of The Night
  • Looking For A Good Time
  • Here Today Gone Tomorrow
  • Rock’n’roll Outlaw
  • Tears Of Fire
  • The Right To Rock
  • You’re The Victim

  

 

BURNING RAIN 

E’ giunge  così anche il tempo  di sentire, vedere ed  ammirare una sorta di “Re Mida”, un guru della sei corde, un uomo dalle lunghe chiome bionde,  che trasforma in oro colato tutto ciò che tocca, ovunque passi… Questa persona risponde al nome di  Doug Aldrich, leader indiscusso dei Burning Rain, che già fece le fortune dei compianti DIO, band  del grande Ronnie James, dei Lion,  degli Hurricane, fece risorgere i Whitesnake dal torpore e, dulcis in fondo, è entrato dal 2016 nei The Dead Daisies, in compagnia di John Corabi e Deen Castronovo. Oltre al pedegree citato di Aldrich, nei Burning Rain si devono aggiungere il talento dell’ex Slaughter Blas Elias alla batteria, e soprattutto di Keith St.John alla voce, accostabile sia per il look che per lo stile di esibirsi e  ai grandi “figli dei fiori”  degli anni 70, individuabili in Sir Coverdale e Sir Robert Plant principalmente, sua vera fonte di ispirazione. Era da molto tempo che non sentivo suonare hard rock così maledettamente bene e  in modo diretto, senza fronzoli e con pulizia tecnica  perfetta, incalzato da un groove crescente e prepotente d’altri tempi! Vedere Doug Aldrich esibirsi è uno spettacolo, e già questo ripaga appieno il biglietto, figuriamoci aggiungendo tutto il resto della band citata, in cui (Opps..dimenticavo) anche Brad Lang al basso offre un fondamentale contributo, e  non di secondaria importanza . Midnight Train spacca da paura live, Revolution, If It’s Love e in particolare Hit N’Run, fanno saltare in aria  e smuovere  le chiappe anche il  più composto tra il pubblico! Face The Music è un pezzone da novanta che chiude lo show, con un ritornello che si stampa in testa e non ti lascia più, che se invece magari  dei  meno blasonati Burning Rain l’avessero scritta gli attuali e più celebri  Whitesnake o Aerosmith, saremmo qua tutti gridare al  miracolo. I Burning Rain, con i The Dead Daisies, rappresentano il meglio dell’Hard Rock mondiale attualmente in circolazione, fuori concorso e senza rivali, e, dopo averli  visti live in questo  show strepitoso, sfido chiunque a sostenere il contrario.. Chapeau! Lunga Vita ai Burning Rain!

Setlist:

  • Midnight Train
  • Revolution
  • Nasty Hutle
  • Cherie Don’t Break
  • Beautiful Road
  • If It’s Love
  • My Lust Your Fate
  • Heaven Gets My Bay
  • Stone Cold’n Crazy
  • Lorelei
  • Hit N’ Run
  • Face The Music

 

 

W.E.T. 

Con i W.E.T. potrebbe tranquillamente chiudersi qua (per quanto mi riguarda) questa seconda giornata del Frontiers. Quella di oggi è stata la seconda volta che ammiravo  gli svedesi W.E.T., e se nella prima occasione mi fecero una gran impressione, stavolta mi hanno tolto il fiato di gola. D’altra parte basti pensare da chi è composta la band in questione, e si fa presto a far quadrato.. Jeff Scott Soto alla voce, più due elementi degli Eclipse, il leader Erik Martensoon alla chitarra solista/voce, più  il batterista Magnus  Henriksoon. Come detto nel report del giorno 1, Soto fece un gran concerto come solista, oggi ha superato anche se stesso! Impeccabile e disumana la performance messa in atto oggi, supportata da un Martensoon in stato di grazia, che  rappresenta una spalla  non certo indifferente, dotato di un’ugola altrettanto spettacolare, che potrebbe prendere il posto dello stesso Soto,  senza sfigurare minimamente  nel confronto a distanza. Si parte alla grande  con quattro pezzi di Earthrage(uscito lo scorso 2018), tra cui spiccano Elegantly Waste e Watch The Fire. Ma i W.E.T. conoscono bene i loro fans, e sanno perfettamente che il primo album non si batte: vengono pertanto proposte e scaricate sui nostri timpani Brothers In Arms, Invincible e Love Heals, in rapida sequenza. Su Walk Away, Soto arriva in cielo, toccando tonalità inimmaginabili , disponendo di capacità  interpretativa da vero fuoriclasse, che nel lento per eccellenza dei W.E.T Comes Dawn Like Rain, infrange e trafigge  il cuore di molte sensibili fanciulle in lacrime appostate davanti la transenna, creando un’estasi di emozioni difficilmente descrivibili, che non possono lasciare indifferenti. La magia dei W.E.T. si  chiude con One Love, diventato da tempo un classico cavallo di battaglia,  con tutto  il Live Club che balla e canta  divertito in una contagiosa carica adrenalinica che solo Soto sa trasmettere a questi livelli, creando una vera e propria  sorta di  party. Almeno cinque minuti consecutivi di meritatissimi applausi incessanti, la dicono lunga sull’alto indice di gradimento riscosso. Dopo i Keel, i W.E.T., in compagnia di Buning Rain, The Defiants e Hardline, sono stati  i migliori di questa sesta edizione che sta oramai  volgendo al termine. 

Setlist:

  • Whatch The Fire
  • Burn
  • Kings On Thunder Road
  • Elegantly Wasted
  • Brothers In Arms
  • Invincible
  • Love Heals
  • Broken Wings
  • Urgent
  • Walk Away
  • Learn To Live Again
  • I Don’t Want To Play That Game
  • Comes Dawn Like Rain
  • If I A Fall
  • One Love

 

STEVE AUGERI BAND  

Steve Augeri ha un passato di militanza sia nei Journey che nei Tyketto e pure nei meno conosciuti e blasonati Tall Stories, bands su cui in pratica ha incentrato il concerto di questa sera. La sua timbrica vocale non mi è mai piaciuta, sono sincero, ma neppure in questa occasione Steve Augeri mi ha fatto cambiare opinione, anche se, per onestà di cronaca , visto l’indice di gradimento e godimento positivo generale in sala riscosso dalla sua esibizione, probabilmente resta semplicemente solo un mio gusto e parere personale. Steve Perry (compianto primo vocalist dei Journey ), era sicuramente tutt’altra cosa, e di un altro livello. SteveAugeri, pur impegnandosi molto, non riesce a trasmettere lo stesso carisma e naturalezza a dei classici dei Journey come Don’t Stop Believin’Separate Ways o Wheel In The Sky, perdendo nettamente il confronto con l’ex Perry. Molto meglio e più convincente sul pezzo dei Tyketto Jamie e sulle cover di Forever Young di Rod Stewart e sulle celebri Whola Lotta Love dei Led Zeppelin e di Won’t Get Fooled Again dei The Who, che chiudono di fatto il sipario di questo fantastico e sensazionale Frontiers Rock Fest VI!

Alla prossima edizione, e grazie ancora a tutti!

Setlist:

  • Separate Ways
  • Stone In Love
  • Jamie
  • Lights
  • Faith In the Heatland
  • Higher Place
  • Wheel In the Sky
  • Faithfully
  • Don’t Stop Believin’
  • Lovin’, Touchin’, Squeezin’
  • Anyway You Want It
  • Wild On the Run
  • Who’s Crying’ Now
  • Sister of Mercy
  • Forever Young
  • Be Good To Yourself / Whole Lotta Love / Won’t Get Fooled Again

 


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Giovanni Cionci

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