I Lai delle Nubi sono un gruppo post-rock romano, che da non molto tempo ha esordito con Tuēri, disco recensito favorevolmente da Giuseppe Grieco qui tra le nostre pagine. Ed è proprio Giuseppe ad intervistare i ragazzi della Capitale, per sviscerare le motivazioni che hanno portato alla formazione della band e del disco. Ecco a voi l’intervista.
1 – Ciao ragazzi, è un piacere avervi qui su Relics Controsuoni. Potete spiegarci come è nato il vostro progetto musicale?
Ciao, grazie a voi per l’ospitalità. La nostra è una storia piuttosto comune: ci siamo trovati in un box alla periferia di Roma e abbiamo acceso gli ampli. Una cosa che possiamo dire, però, è che abbiamo sentito subito il bisogno di raccontare la nostra esperienza attraverso una dimensione più emotiva e viscerale. Il post-rock è stato un punto d’incontro naturale e privilegiato in questo senso: lascia libero l’ascoltatore di riempire i suoni con le proprie immagini, i propri sentimenti, i ricordi, le paure… ti offre una superficie plastica che in qualche modo diventa parte di te.
2 – Lai delle nubi è un nome particolare, che rimanda ad eventi atmosferici. Come vi è venuta l’idea?
Ci sono diversi piani di senso che giocano sul nome: il tema atmosferico è forse quello più immediato ma c’è anche un tema intimo, quasi onirico, legato alla poetica del lamento, alla sua intensità drammatica e simbolica.
3 – Come è nato Tuēri? Approfondiamo le idee che vi stanno dietro
Tuēri è anzitutto un luogo. Uno spazio che ci ha accolto e accompagnato in questi 3 anni di attività. Puoi interpretarlo fisicamente o psicologicamente, come preferisci, quel che è certo è il sentimento di familiarità e cura che condividiamo. In questo posto abbiamo raccolto e raccontato la nostra esperienza attraverso i neon delle insegne, le persone che amiamo, le malinconie di momenti perduti, i sogni gloriosi che svaniscono all’alba… Ma è anche un disco dove la prosa è quasi sempre essenziale, cruda, spigolosa: non lasciamo troppo margine alla raffinatezza. È così che ci piace raccontare le cose.
4 – Quali artisti vi hanno formati nel vostro percorso artistico?
Molti, naturalmente. Il ventaglio è nell’alternative in generale, dal grunge al noise ma anche stoner e garage. Nell’ambito post-rock amiamo certamente i grandi (Explosions In The Sky, Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, God Is An Astronaut, Russian Circles, Mono…) ma riteniamo che la scena sia tutt’altro che esausta: in questi ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di ottimi lavori di band come Appalaches, Coastlands, Kokomo, 1099, Oh Hiroshima!, Pg.lost, e tante altre che dimostrano come la cosiddetta “morte del post-rock” sia una leggenda metropolitana. Il post-rock è vivo.
5 – Come vi rapportate con questo mercato musicale in continuo mutamento?
Vi è più di un problema. Ma siamo sprofondati in un sistema così rapido ed effimero che perdiamo il senso della realtà e risulta difficile non solo preoccuparsi, ma anche solo percepire l’entità di una crisi che, a ben guardare, riguarda anche la cultura, l’ambiente, l’educazione. Le band come la nostra sono l’ultimo anello di una catena alimentare: si paga per fare il disco, per fare le interviste, per partecipare ai contest, per mettere le pubblicità sui social. Le azioni di resistenza che possiamo mettere in atto sono poche. La realtà è che ci sentiamo incapaci di porre un vero argine a questa decadenza, che non è una “crisi del consumo” ma una crisi di tipo valoriale. Manca una visione collettiva, un cambio di paradigma che ponga la musica su un piano diverso da quello mosso da dinamiche utilitaristiche composte unicamente dall’unione delle singole visioni di costo/ricavo.
6 – Potete farci qualche anticipazione sui prossimi lavori?
Stiamo lavorando al secondo disco che vorremmo pubblicare nel 2020. Abbiamo del nuovo materiale che ci sta piacendo molto ma anche tante take e idee registrate durante la produzione di Tuēri. Ci sono dei discorsi che evidentemente non sono ancora chiusi…