Pearl Jam – Gigaton (Monkeywrench/Republic, 2020) di Paolo Guidone

Il gran giorno, alla fine, è arrivato. Atteso come si attende l’evento culminante di un lungo e penitente calendario liturgico, oggi 27 marzo è stato finalmente pubblicato Gigaton, il nuovo lavoro degli immensi Pearl Jam. A sei anni dal loro ultimo disco, e dopo aver più volte girato il pianeta con una lunga serie di tour, i mostri sacri del grunge sono infatti prepotentemente tornati sulla scena discografica con un disco che ha suscitato enormi aspettative nei milioni di fans sparsi per il mondo. Non vi nascondiamo che abbiamo avvertito una certa emozione nel cliccare sull’icona “play” dell’album Gigaton;…

Score

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Concept
Potenzialità

Voto Utenti : 4.71 ( 6 voti)
Il gran giorno, alla fine, è arrivato.

Atteso come si attende l’evento culminante di un lungo e penitente calendario liturgico, oggi 27 marzo è stato finalmente pubblicato Gigaton, il nuovo lavoro degli immensi Pearl Jam.

A sei anni dal loro ultimo disco, e dopo aver più volte girato il pianeta con una lunga serie di tour, i mostri sacri del grunge sono infatti prepotentemente tornati sulla scena discografica con un disco che ha suscitato enormi aspettative nei milioni di fans sparsi per il mondo.

Non vi nascondiamo che abbiamo avvertito una certa emozione nel cliccare sull’icona “play” dell’album Gigaton; una fugace e timida esitazione ci ha attraversato, la stessa che tutti proviamo quando ci avviciniamo a qualcosa di davvero prezioso ed importante, temendo quasi di “profanarla” con le nostre comuni mani.

D’altronde è pur vero, come è stato detto, che l’attesa attenui le passioni mediocri e aumenti quelle più grandi…

L’album Gigaton è innanzitutto un album Pearl jam, e anche se potrebbe apparire questa una definizione scontata, in realtà sottintende numerose riflessioni.

Il brano di lancio Dance of Clairvoyants, infatti, aveva ingenerato in tutti noi l’aspettativa di un disco davvero rivoluzionario dei padri fondatori del Seattle sound: un brano che richiama esplicitamente il sound dei Talking Heads, con il suo ritmo di chitarra e basso funky-rock, una tastiera elettro ed un superbo cantato del leader Eddie Vedder con un non frequente, per lui, importante uso del riverbero e del chorus. La chimera formata dai Pearl Jam e Talking Heads è semplicemente affascinante, un pezzo davvero bellissimo, energico e di grande ispirazione artistica, ma purtroppo isolato nel disco.

Gigaton, infatti, è per il resto un tipico bell’album dei Pearl Jam, con brani a volte molto entusiasmanti e altre volte dejà vu, impregnato del sound che li ha contraddistinti attraverso 29 anni di carriera e che ancora esige ed ottiene rispetto ed ammirazione. Timidi sono i tentativi di vera innovazione, sulla scia del brano Dance of Clairvoyants, che il quintetto di Seattle ha mostrato in questo disco: il potente brano Quick Escape, pur riecheggiando sonorità già conosciute nel fortunato album Yield, presenta una linea di basso davvero impressionante e piuttosto inedita per i Pearl Jam, così come il fantastico assolo di pura chitarra rock nel pezzo Superblood Wolfmoon che parrebbe suonato dalle magiche dita di un Gary Moore o di un primo Jimy Hendrix.

All’ascolto attento il disco pare prender vita propria, e quasi cominciare a respirare mediante ideali polmoni che si gonfiano e si sgonfiano attraverso i propri brani, ora veloci ed energici, ora più lenti e riflessivi, in un ritmo affannato ed incalzante che cerca e trova il meritato riposo nella coda dell’album, costituita da tre ballads molto introspettive e sensibili.

Merita una menzione particolare il pezzo Comes then Goes, brano interamente acustico e di ispirazione country-blues, disegnato come un vestito sulla figura di Eddie Vedder, piuttosto che sulla band, e dal testo molto toccate e malinconico ispirato (forse) dalla tragica fine del collega ed amico Chris Cornell.

Infine, il pezzo di chiusura River Cross è un piccolo capolavoro, anche se forse non lo si direbbe ad un primo impatto; il brano va infatti ascoltato assieme al testo, profondo e di grande denuncia sociale, che da infatti il senso alla musica. Se si presta attenzione alle parole e ci si lascia avvolgere dalla voce calda ed accorata di Vedder, dalla batteria suonata quasi esclusivamente sui tom e sul timpano, dal basso sincopato e dalla tastiera hammnond, e si fa tutto ciò per i 6 minuti del brano, vi assicuriamo che è impossibile non chiudere gli occhi e sentire qualcosa che scava dentro di noi.

La profondità ed accuratezza dei testi, d’altronde, sono da sempre una caratteristica dei Pearl Jam che infatti non si smentiscono nel loro Gigaton, un’opera di forte denuncia politica, ambientale e sociale, come richiamato anche dalla copertina del disco che rappresenta, appunto, una banchisa di ghiaccio ed una traccia rossa di elettrocardiogramma , che scrive il nome: Pearl Jam.

In definitiva è difficile dare un giudizio su questo album, che abbia la presunzione di essere finale e completo.

Senza alcun dubbio ove le aspettative d’innovazione offerteci dal brano di lancio Dance of Clairvoyance fossero state confermate dall’intero disco, saremmo stati davanti ad un album epocale.

Così non è stato, purtroppo, ma resta un bellissimo album, ricco di contenuti, emozioni e stile, che si merita un posto tra i lavori più interessanti del gruppo di Seattle.

Un buon disco dei Pearl Jam, insomma.

Ed è tutto dire.

Tracklist:

  1. Who Ever Said
  2. Superblood Wolfmoon
  3. Dance Of The Clairvoyants
  4. Quick Escape
  5. Alright
  6. Seven O’Clock
  7. Never Destination
  8. Take The Long Way
  9. Buckle Up
  10. Comes Then Goes
  11. Retrograde
  12. River Cross

 


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Paolo Guidone

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