HELLOWEEN: Helloween

Già annunciata ai tempi del "Pumpkins United World Tour", che li vide toccare il suolo italico tra la fine del 2017 (Milano) e la prima metà del 2018 (Firenze), gli Helloween tornano prepotentemente alla ribalta della scena power metal, con una formazione a 7 elementi, in cui spicca senza ombra di dubbio la presenza contemporanea di Michael Kiske (voce), Andi Deris (voce) e Kai Hansen (voce, chitarra), i “3 tenori” della formazione teutonica. Ad accompagnarli, troviamo Michael Weikath (chitarra) e Markus Großkopf (basso), gli unici ad aver militato fin dagli esordi, mentre gli ultimi arrivati Sascha Gerstner (chitarra) e…

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Già annunciata ai tempi del “Pumpkins United World Tour”, che li vide toccare il suolo italico tra la fine del 2017 (Milano) e la prima metà del 2018 (Firenze), gli Helloween tornano prepotentemente alla ribalta della scena power metal, con una formazione a 7 elementi, in cui spicca senza ombra di dubbio la presenza contemporanea di Michael Kiske (voce), Andi Deris (voce) e Kai Hansen (voce, chitarra), i “3 tenori” della formazione teutonica.

Ad accompagnarli, troviamo Michael Weikath (chitarra) e Markus Großkopf (basso), gli unici ad aver militato fin dagli esordi, mentre gli ultimi arrivati Sascha Gerstner (chitarra) e Daniel Löble (batteria) completano la formazione.

Chiaramente, con una formazione di questo tipo (quante band hanno schierato ufficialmente 3 voci e 3 chitarre nello stesso tempo?), era lecito avere grandi aspettative. E queste aspettative, così pompate, così esagerate, potrebbero portare l’ascoltatore ad esprimere a caldo un giudizio fin troppo negativo.

Intendiamoci, il nuovo album è probabilmente il miglior disco realizzato dalla band nel terzo millennio, ma non è affatto ai livelli dei primi 2 “Keeper of the Seven Keys“, che rimangono capolavori assoluti e (forse) irraggiungibili.

La sensazione generale è che, proprio per aver incluso tutte le anime di questa band, il risultato sia quello di un assemblaggio di altissima qualità, ma senza un vero ed unico filo conduttore, sensazione confermata dal fatto che, dietro la composizione di quasi ogni brano, c’è un diverso membro della band.

Se quindi la prima traccia, Out for the Glory, magistralmente condotta dal duo Weikath/Kiske non lascia scampo ad equivoci e martella fin dal primo istante con un sound power al 100% (qualche passaggio sembra prendere spunto qua e là dall’album “The Dark Ride“), già dalla traccia successiva, Fear of the Fallen, lo stacco è netto, non solo per l’intro (quella chitarra strizza parecchio l’occhio a Lord of the Rings dei Blind Guardian), ma anche per il ritmo compositivo e per il passaggio di testimone alla voce, da Deris a Kiske (messaggio per il futuro della band?)

Best Time, per l’occasione scritta dalla coppia Deris/Gerstner, pur non brillando di particolare originalità, si dimostra piacevole da ascoltare e ben si presta ad headbanging collettivi nelle future esibizioni dal vivo (nell’aprile del 2022 è previsto tra l’altro l’unico concerto in Italia, a Milano).

Di nuovo, una radicale svolta arriva con Mass Pollution, che dal power metal si colloca totalmente in sonorità heavy metal/hard rock, grazie alla composizione di Deris, per poi tornare indietro da dove si era partiti con Angels, la prima traccia fin qui ascoltata, di cui non c’è nulla di particolare da menzionare.

Si torna in pista con Rise Without Chains, ed è ancora una volta la collaborazione tra Deris e Kiske a garantire l’ottima qualità del risultato, mentre con Indestructible, scritta da Großkopf, si viene catapultati in un sound diverso e più moderno, ma non per questo meno ben riuscito. Ormai i due terzi dell’album sono alle nostre spalle ed il meglio sta per arrivare, a cominciare da Robot King, più classica, ma che entra in testa fin dalle primissime note, per la gioia di chi si ritroverà in mezzo al pogo.

Le 2 tracce successive, Cyanide e Down in the Dumps, scritte rispettivamente da Deris e Weikath, non fanno altro che confermare la bravura di questi 2 artisti nell’esecuzione, oltre che nella composizione, con il primo che, con la sua anima più oscura, richiama il periodo di “The Dark Ride” e con il secondo, che, chitarra alla mano, fa da base per melodie accattivanti e cori ripetuti.

Chiude il tutto Skyfall, introdotta dalla breve Orbit, probabilmente il pezzo più bello dell’album, una traccia di 12 minuti (anche se qua sopra trovate il video relativo alla versione single edit), ma particolarmente riuscita: il ritmo incalzante, l’atmosfera, la melodia, la batteria che suona all’impazzata, i vari assoli, sinceramente si fa fatica a trovare un difetto (e non a caso è stato presentato come primo singolo), per cui complimenti ad Hansen, tornato ai vecchi fasti di un tempo.

I fan più accaniti potranno infine attingere a 2 tracce bonus nella versione digibook, Golden Times e Save My Hide (personalmente, almeno la prima di queste l’avrei inclusa nella versione “standard”, poiché non ha nulla da invidiare ad alcune delle tracce sopra citate).

Che dire? Un ritorno con il botto, quello dei nostri amici tedeschi! Non è ancora dato sapere se ci saranno altri movimenti all’interno della band, ma sicuramente l’idea di poter apprezzare dal vivo la presenza di tutti gli elementi storici è elettrizzante!

La speranza è di vedere negli album successivi non tanto un contributo targato “Hansen-Kiske-Deris”, ma Helloween al 100%, ben amalgamato e che possa quantomeno richiamare i bei tempi di Keeper of The Seven Keys.

Tracklist:
1. Out for the Glory
2. Fear of the Fallen
3. Best Time
4. Mass Pollution
5. Angels
6. Rise Without Chains
7. Indestructible
8. Robot King
9. Cyanide
10. Down in the Dumps
11. Orbit
12. Skyfall

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Alessandro Guglielmelli

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