INTERVISTA: Stella Diana (di Gianni Vittorio)

La redazione di Relics ha incontrato gli Stella Diana in occasione della nuova uscita discografica, l’album Nothing to expect, pubblicato  il 22 febbraio per Vipchoyo/A State of Flux Records.

Spesso siete stati accostati alla scena new wave italiane ma anche alla shoegaze. Quanto di vero c’è in questa associazione? Che approccio avete avuto anni con questi generi musicali?

Guarda, in realtà sono semplici etichette che servono comunque a dare una direzione a chi ascolta. Noi che abbiamo un trascorso, per motivi generazionali, legato agli anni 80 e 90 amiamo i suddetti generi. Sulla scena new wave italiana, non so, non mi ci vedo per nulla, sebbene adori i primi Diaframma o i Denovo e tutto il sottobosco indipendente di quegli anni. Il nostro interesse va più per cose come i Sound; Echo and the Bunnymen, The Chameleons, i Lycia o anche X Mall deutschland e poi ovviamente al sound Creation e 4AD fino a miti come Sarah records o Bella union.

Il nuovo album (il sesto se non erro) è intitolato Nothing to expect. Da un primo ascolto mi è sembrato di sentire un sound più pulito (meno effetti di chitarra) e meno filtri. Si sente però un mood dark ma soffuso.
Come si colloca rispetto ai dischi precedenti?

Nothing to Expect rappresenta la cosa più direttamente dark che abbiamo mai fatto. Ed è ciò che eravamo quando nel 1998 abbiamo inciso la nostra prima demo su cassetta con la drum machine. Il sound è più che altro quasi live, immediato, con pochissime sovraincisioni; nessuna concessione a suoni che non siano quelli base e pochissimi synth. Lo vedevo, lo vedevamo così. Non è salutare per una band in fase di composizione decidere che direzione dare a priori a un album: noi l’abbiamo fatto. Dal primo giorno, dalla prima nota suonata in sala, abbiamo sempre considerato che questo doveva essere un disco scuro, notturno. Non siamo una band dark in senso stretto ma amiamo tutti quei suoni raffinati, eleganti e umorali propri del post punk.

La produzione è avvenuta in una location estera, Barcellona per l’esattezza. A cosa è dovuta questa scelta?

Marco Morgione è un nostro carissimo amico, ci conosciamo da anni e vive a Barcellona da almeno vent’anni ormai e da quando ci ha registrato Gemini, in un modo o nell’altro farà sempre parte dei nostri album. In questo caso si è occupato del mastering, ma l’intero album è stato registrato in casa tranne le batterie. Voce, basso e chitarre in casa e poi Giulio ha suonato la batteria nel suo box. Ciò che è uscito fuori è vivo, pulsante e forse più vero.

Che messaggi volete trasmettere con la vostra musica? E quanto sono importanti i testi nel fare musica rock?

Semplicemente condividere la nostra visione su certe atmosfere, stati d’animo e suoni. Fare in modo che chi ci ascolti chiuda gli occhi e si faccia accompagnare dai nostri suoni. Non so se i testi possano essere importanti per qualcuno, per me rappresentano una narrazione altra insieme con la musica. Scrivo in inglese perchè è piu immediato e musicale per questo genere e perchè quando gli stella Diana pubblicavano in italiano ed è successo con i primi tre album, ho dovuto letteralmente “sciropparmi” similitudini con Verdena o Marlene Kuntz, bands che non ascolto se non sporadicamente. Nessuno che abbia pensato, nemmeno per sbaglio, che magari, se proprio devo pensare all’italiano il mio riferimento assoluto è sempre stato Panella periodo Battisti. Attenzione, non ho nessuna pretesa di essere come Panella, ci mancherebbe. Pertanto, ho virato sull’inglese perchè sento questa lingua, in base anche ai miei sopracitati gusti, più mia. Tra l’altro essendo i miei testi molto personali e sempre fondati sull’analisi dei rapporti tra le persone e quindi sulla comunicazione,  l’inglese mi consente di nascondermi e cantarli tranquillamente senza la paura di dover rivelare ciò che sento realmente.

Nel panorama internazionale stanno emergendo nuove band dalla forte personalità, nella scena indie. Tra questi cito ad esempio Fontaines D. C. ed i Black Country, New Road.  State seguendo questa ondata musicale che ha ravvivato la scena rock?

Credo che gruppi come Fontaines o Idles non abbiano nemmeno un’oncia del talento dell’unghia di bands come Germs o Gbh. Se mi chiedono di ascoltare i Fontaines metto sul piatto gli Stiff Little fingers, Irlanda per Irlanda scelgo l’impegno, quello vero. E’ punk per venticinque, trentenni, fatto di tanto hype social. Non mi interessano. Di Bands “moderne” ascolto le Warpaint, le Savages, Ghoum e continuo a consumare gli Interpol o i dischi di Nick Drake.

Infine una domanda di rito: avete in mente di fare un tour estivo per promuovere l’album, visto che la situazione covid sembra nettamente migliorata?

Prima di rispondere all’ultima domanda, ringraziamo te e Relics per lo spazio che ci hai concesso. Sulle date: le stiamo chiudendo ma senza fretta. Abbiamo una certa età e il tempo per fare date in continuazione trascurando il lavoro e le nostre vite, purtroppo non c’è. Vorremmo ma non si può. Il tour durerà tanto, almeno due anni, suoneremo un po’ alla volta in Italia e all’estero, ove possibile, ove fattibile. Ci riteniamo già fortunati se a quarant’anni e passa possiamo fare album e suonare la nostra musica.

intervista: Stella Diana
la cover del nuovo album

Per ulteriori informazioni sulla band cliccate QUI: https://stelladiana.bandcamp.com/album/nothing-to-expect-2


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Gianni Vittorio

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