DEEP PURPLE – live a Parma

DEEP PURPLE – live a Parma di Guido Maria Grillo

Il concerto dei Deep Purple è alle 21 ma, già un’ora prima lo spazio è gremito in un martedì sera afoso, a Parma, in una spettacolare location quale il Parco Ducale, nel cuore della città.

Sul palco suona la band d’apertura, Planethard, il pubblico segue con interesse. Il sound è familiare, i riff grossi e saturi, come si conviene.

Alle 21:00 in punto i nostri salgono sul palco. Senza fronzoli e smancerie, l’attacco è micidiale, non una parola, soltanto un suono enorme.

Ian Paice, Roger Glover, Ian Gillan, Don Airey e Simon McBride sono una macchina perfetta. Sul palco s’intendono, si scambiano sguardi e sorrisi, nella compostezza di uno spettacolo perfetto c’è spazio per la passione, che trasuda da ogni nota e gesto.

I mega schermi tradiscono la verità del tempo che è trascorso ma è una questione puramente estetica, l’energia è quella di una band di trentenni.

Steve Morse ha lasciato la band nel luglio 2022, meno di un anno fa, e Simon McBride ha raccolto il testimone con carattere e personalità.

Le sue chitarre PRS, il muro di casse Engl che ha alle spalle e le sue dita sprigionano un suono ed una classe epici. Anche il basso di Roger Glover ha un suono enorme e preciso, le sue dita galoppano e danno al sound una profondità inaudita.

Ian Paice detta i tempi del meccanismo perfetto,col suo consueto drumming pulito e robusto, essenziale ed efficace.

Don Airey, da 21 anni, ormai, alle tastiere, al pianoforte e all’hammond dei Deep Purple, dona al sound una spazialità che abbraccia, mentre dialoga continuamente con la chitarra di McBride, dando ai riff più iconici una pasta di suono sontuosa.

Ian Gillan, infine, ha classe da vendere. Pochi gesti, poche parole, tanto cuore. La voce fa fatica, a tratti, il suo strumento, a differenza di quelli degli altri, sente il peso del tempo e non può essere sostituito. A quasi ottanta anni, vedere il suo volto fiero mentre stringe il microfono è una gioia ed un sollievo. A tratti la voce trema ma lui è lì, centrato, l’intonazione è inappuntabile, è soltanto il suono a risentire del tempo trascorso.

Un’ora e trentacinque minuti di concerto, senza pause, senza ruffianerie.

Raffiche di canzoni epiche, a volte legate al punto da non concedere spazio agli applausi. Una corsa d’un fiato, libera, potente, orgogliosa.

Nelle battute finali c’è spazio per Perfect Strangers, Space Truckin’, Smoke on the Water e, per chiudere, Black Night.

Abbiamo visto la storia della musica ed abbiamo capito cosa sia davvero.


Commenti

Paolo Guidone

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*

Click here to connect!