NOFX – recensione Final Tour

Scienziati di tutto il mondo, da decenni, studiano duramente in laboratori d’avanguardia la possibilità di viaggiare nel Tempo senza risultati, finora.

O meglio, fino alle ore 21:30 del giorno 11/05/2024, quando il miracolo è avvenuto: l’uomo ha viaggiato nel Tempo, anzi no, migliaia di persone lo hanno fatto contemporaneamente!

La data fissata è stata il 1984, il luogo di arrivo Los Angeles, il mezzo utilizzato i NOFX.

Questa è la sensazione che hanno provato i quasi 10.000 presenti al Carroponte di Sesto per il tour finale dei maestri del punk-hardcore californiano ’80-’90: Final Tour, 40 years, 40 cities, 40 songs

I NOFX hanno infatti voluto salutare i loro di fans, dopo 40 anni di attività, con un tour che tocca 40 città tra Europa e USA.

Ogni tappa prevede due serate consecutive, ciascuna con una scaletta di 40 brani a serata scelti da tre dei sei album pubblicati dalla band e diversa per ciascuna serata.

La data di Milano di sabato 11 maggio, la prima dell’intero tour, ha visto una scaletta esplosiva, composta da brani degli album Pump up the Volume, Punk in Drublik e Wolves in Wolves’ Clothing, oltre a qualche sorpresa presa dagli altri tre album, come Monosyllabic Girl e Bob.

Creste di ogni tipo si mischiavano a stempiature più o meno pronunciate, capigliature blue e verdi si alternavano ad altre brizzolate, ma tutti erano accomunati dalla stessa ribellione interiore: il Punk, quello vero.

Anche il contesto minimal post-industriale del Carroponte ha giocato il suo ruolo, con un palco essenziale ed una coreografia ridotta ai minimi termini, ovvero un semplice cartello giallo di circa un metro per mezzo metro con la scritta NOFX. Punto.

D’altronde l’unica coreografia ammessa dal genere punk hardcore è la folla, e cosi, come d’abitudine, a fare da corona alla band sul palco vi era un folto gruppo di amici dei NOFX, che si portano dappertutto.

La band ha sparato i suoi 40 pezzi con l’energia e la velocità di sempre alternandoli a brevi gags e a piccoli aneddoti legati all’Italia come, per esempio, che il chitarrista El Jefe ha origini sarde e che Fat Mike ha suonato per la prima volta in Europa in un concerto punk a Firenze nel lontano 1984.

Brani immortali come The Brews, Bob e Linoleum vengono alternati a brani decisamente più dimenticabili e a buffonerie da palco che da sempre accompagnano i live show di Fat Mike e soci, in particolare con la costante presa in giro dei Pennywise.

Ugualmente immutato lo stile dei NOFX, così come la grossolanità tecnica delle esecuzioni dei brani, che paiono suonati ancora da diciassettenni nel garage di casa.

A ciò si è unita un’amplificazione piuttosto discutibile dello show, che ha sollevato non poche critiche nella folla sudata e pulsante.

D’altronde il Punk è questo, è ruvidezza, è energia fine a se stessa, è ribellione, è casino…. È pogo duro.

E il pogo non è mancato neppure un istante nei primi 10 mt dal palco, con gente sollevata dalla folla, ma con la triade Leave It Alone, The Cause e Perfect Government l’esplosione è stata totale ed il pogo è arrivato anche nelle abitazioni circostanti l’arena.

In un attimo era di nuovo il 1994.

In perfetta coerenza con il loro stile, i NOFX non si sono concessi a smancerie da ultimo saluto, e improvvisamente hanno abbandonato il palco senza nemmeno un saluto, senza farsi vedere, mentre Melvin, da solo sul palco con la fisarmonica, “distraeva” le migliaia di fans in delirio con la bonus track di Pump Up the Volume cantata per circa cinque minuti a mo’ di valzer dai quasi 10.000 del Carroponte.

C’erano intere generazioni, compagnie di liceo che si erano ritrovate li dopo 25 anni, tutti assieme, a pogare di brutto come negli anni ’90 dopo aver magari lasciato la cravatta a casa per quella sera speciale.

Perché il Punk è questo e i NOFX ne sono un’icona intergenerazionale.

Fat Mike, come nel suo stile di sempre, è uscito senza dire una parola, senza nemmeno un cenno di saluto, quasi nessuno se n’è accorto, ma siamo sicuri che stavolta per lui non è stato come tutte le altre volte.

Si chiude infatti un’era, si chiude un pezzo di storia della musica di cui lui è stato indiscusso protagonista.

Chissà se forse, stavolta, aveva semplicemente temuto di emozionarsi nel salutare per l’ultima volta il suo pubblico, che è cresciuto con lui e anche grazie a lui, ma questo non lo sapremo mai perché, parafrasando il suo Scaveranger Type : “… no one did see him cry”.


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Paolo Guidone

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