GIANCANE – Intervista

GIANCANE – Intervista Lia Baccelli

In un pomeriggio in cui il cielo sembrava voler tirare giù tutta l’acqua del mondo ho avuto la possibilità di fare una chiacchierata con Giancane prima del concerto al Bella Vista Social Fest di Buggiano che ha ufficialmente dato il via al suo tour estivo.

Mentre preparavo l’intervista pensavo a cosa chiedergli che non fosse estremamente banale, che non riguardasse il successo della colonna sonora delle serie di Zerocalcare, ma che guardasse anche avanti e permettesse a chi avrà la voglia di leggerci una conoscenza diversa, che lasciasse in qualche modo trasparire la persona che sta dietro al cantante.

Così dietro al palco ne è uscita una conversazione divertente, che spero risulterà gradevole e che avrei preferito trascrivere con quel suo fantastico accento romano, salvo poi decidere che era veramente troppo complicato, perché il romano scritto è una cosa seria.

Parte da qui il tour estivo che ti vedrà girare l’Italia con una puntata anche a Berlino

Con una puntata pazza a Berlino, sì. In due però, non possiamo andare in nove.

In un’intervista hai dichiarato che la musica è il tuo stabilizzatore dell’umore, vale anche per il live?

Sì è vero e soprattutto per il live! Non la musica in generale, proprio fare il live, mi scarica tantissimo. Infatti dopo l’estate mi dovrò fermare un po’ che sono due anni che non ci fermiamo. C’ho altre idee pazze.

Mi racconti?

Magari non farò Giancane, sto facendo un’altra cosa con un amico, vediamo se esce fuori qualcosa.

Partiamo subito con le domande difficili, così ce le leviamo: da bambina degli anni 80 ho immediatamente riconosciuto Denver sulla locandina del tour, qual è il tuo rapporto con i cartoni animati?

Ho sempre amato i cartoni animati e li amo tutt’ora. Denver è stato uno dei miei cartoni preferiti da bimbo e ho detto “lo vorrei mettere su una locandina”. Non ha nessun senso, in realtà, però mi piaceva. L’ho giancanizzato un po’, gli ho messo il cappello, la chitarra come la mia… Cioè, lo ha fatto Domenico Migliaccio, che lo ha disegnato a mano, ha fatto tutto lui e che stasera suonerà la batteria al posto di Claudio.

Sei stato il fortunato protagonista musicale delle due serie di Zerocalcare per Netflix, questo ha cambiato la fisionomia del tuo pubblico?

Sicuramente ha cambiato un po’. Il mio pubblico storico mi ha seguito, però adesso ci sono anche i bambini ed è strano perché non faccio prettamente musica da bambini. Ho scoperto già dall’anno scorso che il pezzo preferito di questi bambini dai 6, 9 agli 11 anni è “Voglio Morire” e un po’ è strano. Sai, la melodia è piuttosto bambinesca, ma il testo… Per me è divertente, non so quanto lo sia per i genitori (ride). Comunque sì, è cambiato un po’, ma sono assolutamente contento di averlo fatto, perché è stato un lavoro diverso dal solito e mi sono molto divertito.

E qui mi parte un inciso a conferma, perché quando sono andata a salutarlo alla fine del concerto si è fatta avanti senza timore Amelie, una bambina di 9 anni che senza pensarci troppo gli ha fatto una partaccia perché al merchandising non c’era la maglietta in taglia da bambina e l’ha pure apostrofato dicendo “I Punkreas la fanno!”, mostrandola soddisfatta. Abbiamo una speranza per il futuro, ma andiamo avanti con l’intervista.

La tua carriera parte con Il Muro del Canto e un po’ rimane l’aspetto folk nella musica che fai. A distanza di dieci anni dal tuo esordio, quanta differenza c’è da presentarsi come un unicum musicale a solista? 

Allora, se ti rifersci a quando suono con la band di Giancane in realtà non cambia molto. Ho terminato ieri un lavoro durato una settimana alla Facoltà di Musicologia dell’Università di Cremona, un posto incredibile dove abbiamo scritto delle canzoni con dei cantautori. Nella serata finale ho suonato da solo, chitarra e voce come non facevo da un sacco di tempo ed è stato divertente. Cioè, all’inizio avevo l’ansia, perché comunque la band fa da protezione e se non suono suonano loro (ride). Con la band è diverso, è più strutturato tutto però poi alla fine l’approccio è totalmente uguale.

Rispetto al Muro del Canto è invece totalmente differente. Lì ero un sesto, con decisioni da prendere in comune. Qui sono io.

La musica nel 2024 è un gran casino: tutti cercano la popolarità, anche solo quei 15 minuti che profetizzava Warhol e spesso a scapito della qualità, del saper suonare o stare su un palco. Com’è stata la tua gavetta nella scena romana e cosa consiglieresti ai ragazzi che vogliono fare della musica una professione?

Io ho iniziato tanto tanto tanto tanto tanto tempo fa. Ho iniziato vent’anni fa e sono cambiati i locali, sono cambiate le scene, sono cambiati i gusti. Ho avuto sempre come approccio quello di cercare di fare sempre solo quello che mi piaceva. Facevo un altro mestiere, lo faccio tutt’ora: il fonico. Faccio i dischi degli altri, ma lo sfogo musicale me lo sono sempre tenuto libero da cose commerciali. Oggi i giovani hanno un approccio totalmente diverso, soprattutto chi fa determinati generi che prima non esistevano. Mi sembra cringe dirgli “Fate questo”. Per me è proprio un altro mercato, sono due binari che non si incontrano. Certi tipi di musica attuale sono paragonabili ad un prodotto. Vai al supermercato e compri un dentifricio o la cosa che vedi in tv. La musica come la intendo io è un’altra cosa.

Ho scoperto proprio durante la scorsa settimana in cui ho avuto a che fare con ragazzi più giovani di me, quindi del 1999, 2000, 2002, che ci sono ancora giovani che ascoltano musica come la intendo io.

C’è stato un ragazzo del 2002 al quale ho chiesto in fase conoscitiva i suoi ascolti e mi ha risposto che ascolta PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Genesis e mi ha stupito. Mi aspettavo… altro. O meglio, poi magari ascoltano anche altro, ma è bello che ci sia anche questa diversificazione. Anche io mi ascoltavo le canzoni dei cartoni animati e poi gli Slayer. Bello che ci sia un ventaglio ampio e dei mezzi per ascoltare fin troppo, perché poi diventa un calderone infinito.

Non c’è più l’ascolto del disco, è molto raro.

Le piattaforme…

Anche io ci casco, ma è anche cosa buona, perché magari ti trovi ad ascoltare cose che altrimenti non sentiresti.

Poi ci sono anche quei momenti in cui io devo mettere un vinile sul piatto, me sbraco sur divano e il vinile finisce. E lo sento tutto. Poi lo giro e sento l’altro lato. Se ho tempo. Però cerco di ritagliarmi dei momenti di ascolto come si deve, che forse è quello che vedo mancare di più. In generale, non solo alla generazione dopo la nostra. Mia mamma ancora li sente, ha i suoi dischi e guai a chi glieli tocca. Quella è un’altra generazione ancora, però fortunatamente me l’ha attaccata questa cosa, quindi sta anche a noi poi attaccarla a quelle dopo.

Il ruolo dei talent shows è spesso visto come una scorciatoia: li segui, ci sei mai incappato, magari dai social e cosa ne pensi?

Alcuni li seguo, tipo X Factor, perché lo guarda la mia compagna, ma ti dirò di più: ho anche partecipato alle selezioni di un talent ed ero pure passato. Ho rifiutato perché in effetti ero andato per curiosità e non con l’intento vero di partecipare.

Sono certamente uno strumento per darsi visibilità, ma sono anche dei tritacarne e serve una stabilità emotiva molto forte per gestire l’improvvisa popolarità ed il successivo ritorno alla normalità.

La musica comanda i nostri ricordi e vizia le nostre sensazioni, e allora ti faccio una domanda secchissima da far vergognare la tua vena cantautorale: una canzone che ti piace che non confesseresti mai.

Io le confesso tutte! Non c’è una canzone inconfessabile, però mo’ ci penso eh.

Per esempio io adesso ascolto i Pinguini Tattici Nucleari…

Ah, ma loro sono forti! Certo si rivolgono ad un’altra generazione, ma suonano ed è bello che i ragazzi crescano con questo tipo di musica.

Tre album in studio, uno dal vivo, poi le colonne sonore “Strappati lungo i bordi” nel 2021 e nel 2023 “Sei in un paese meraviglioso”. Se fossi una maga, cosa vedrei nel tuo futuro?

Chi lo sa! Dimmelo te! Quello che vorrei fare è finire il tour a settembre, far bene quest’estate, scrivere nel mentre poi chiudermi un po’ in studio. Ho bisogno di fermarmi per chiudermi nel mio mondo. Avrei voglia di andare un po’ in giro per l’Europa a suonare, per cambiare aria e vedere come funziona altrove.

Come Berlino?

Berlino è una cosa estemporanea, sarà figo come immagino e spero, ma vorrei andare in giro con la band. La Spagna mi attira. Ho delle good vibes sulla Spagna, mi piacciono gli spagnoli. Poi ho provato qualcosa in spagnolo ed è buono.

Però poi torna eh! Non ti far conquistare dalle rambla!

Figurati, da una settimana non sto a casa e già sto perdendo la testa. No, no, torno!

Ho un sacco di cose in testa: scrivo, voglio fare altre canzoni, fortunatamente non mi fermo quasi mai. Poi la settimana passata all’Università di Cremona è stata proprio bella, mi ha aperto un mondo. Lo avevo già fatto una volta anni fa, ma solo per il finale del corso. Quest’anno mi hanno richiamato per fare tutta la settimana ed è stato bello collaborare con una cantautrice e due cantautori, scrivere partendo da zero una canzone insieme, coadiuvati da studenti delle età più varie, anche qualche quarantenne fuori corso ed è stato un ottimo esercizio anche per me perché non ho mai scritto con nessuno, se non con Lucio Leoni una volta.

Divertente diventare “professore” per una volta, gestire l’aula e vedere il cambiamento nostro nei confronti degli studenti. Mi ha fatto venire voglia di scrivere.

Quindi è stata un’esperienza in cui hai dato, ma da cui hai anche preso

Sì, non era a senso unico, assolutamente. Mi ha fatto bene, perché non è il mio mestiere. Poi eravamo tre cantautori con tre stili diversi e il divertimento è stato anche fare un po’ di produzione una volta finito il pezzo.

Lo congedo ringraziandolo e mi accorgo che questo tempo è volato. Fra poco salirà sul palco per il concerto di chiusura di questa edizione 2024 del Bella Vista Social Fest.

Il live, guarda il caso, partirà con la sigla di Denver e io mi accorgerò che il mio Armadillo mi ha guardato da dietro le piante velenose di oleandro per tutta l’intervista, aspettando uno scivolone di stile, una gaffe o una parola di troppo mentre ballava sulle note di Armadillo Funk. Se non sbaglio l’ho sentito pure dire “Vola basso Lia, che se poi st’intervista esce nammerda so’ cazzi per tutti. Pure pe’ me“.


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Lia Baccelli

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