Stefano Saletti @ Auditorium Parco della Musica Roma
Report di Chiara Lucarelli
C’è un punto esatto, tra storia e geografia, tra lotta e poesia, in cui la musica diventa ponte, carne e spirito insieme. L’8 maggio, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, Stefano Saletti e la sua Banda Ikona hanno acceso questo punto, lo hanno chiamato Mediterranima e lo hanno fatto risuonare con la forza di un rito collettivo.
Sul palco, il polistrumentista romano ha presentato in anteprima il suo nuovo album – uscito il 25 aprile, non a caso – e ha trasformato il concerto in una mappa emotiva delle sponde del Mare Nostrum, dove ogni canzone è una tappa, un volto, una lingua.
Non un semplice live, ma un atto politico, una celebrazione collettiva, un’esplorazione sonora delle identità del Mediterraneo, filtrate dalla lente della memoria, della migrazione, della resistenza e narrate con il suono arcano di oud, bouzouki, saz e chitarra battente. Uno spettacolo che sa di terra e mare, memoria e futuro.
Stefano Saletti – voce narrante e architetto sonoro del progetto – guida la serata con una presenza carismatica e visionaria, come un cantore antico che parla però all’oggi. La sua è una direzione che non sovrasta ma moltiplica, dando spazio ai tanti straordinari musicisti e interpreti che lo accompagnano in questo viaggio transnazionale.
Ad aprire le danze è Il filo infinito, manifesto programmatico di ciò che sarebbe arrivato: una cucitura sonora tra est e ovest, tra tradizione e sperimentazione, un mosaico di lingue e strumenti che scavalca confini.
Le voci di Gabriella Aiello, Eleonora Bordonaro, Barbara Eramo, Fabia Salvucci e Yasemin Sannino si alternano e si intrecciano come onde di uno stesso mare, ciascuna portando con sé un universo espressivo distinto – dal canto popolare siciliano ai melismi mediorientali, dalla dolcezza evocativa al grido potente.
A seguire, O Pireas e Marjan hanno tracciato le rotte del Sabir, l’antica lingua franca dei porti, che in bocca a Saletti e alle voci ospiti, si fa canto resistente, sogno condiviso.
Gabriele Coen, al sax e clarinetto, stende ponti in stile jazz tra tradizione e improvvisazione, disegnando traiettorie melodiche.
La sezione ritmica è un cuore pulsante e rituale: Giovanni Lo Cascio, con una tavolozza percussiva che va dal riq al daf, dalla daolla al bodhran, incastra groove millenari con la precisione di un orologiaio tribale, mentre Mario Rivera alterna contrabbasso e basso acustico con eleganza e sostanza, tenendo la rotta con profondità tellurica.
Accanto a loro, Eugenio Saletti – chitarre, bouzouki, saltzouki – innesta una linfa giovane e tagliente, creando contrappunti timbrici che danno modernità alla tessitura complessa del gruppo.
A elevare ulteriormente il respiro etnico ci pensano Pejman Tadayon, che con kemenche e ney aggiunge una spiritualità mistica da pieno deserto sonoro, e Riccardo Tesi, il cui organetto accende di colori folk brani come Canterrante, vero inno danzante alla memoria contadina.
Arnaldo Vacca completa il cerchio percussivo con un arsenale che sembra un’enciclopedia ritmica: darbouka, tammorra, tamburello, riq, bodhran, canjira, crotal e shaker danno corpo e ritualità al concerto, trasformandolo in una sorta di festa sacra dove il ritmo è preghiera e trance.
Tra i momenti più intensi della serata, Resistar è stato il vero pugno nello stomaco (e nel cuore): dedicato alla Resistenza, il brano è un grido che unisce lotte antiche e moderne, la voce di Saletti si fa scavo e accusa, mentre il tessuto strumentale diventa marcia e memoria con un’energia da brividi che ha scosso la platea.
Ma Mediterranima è anche festa, danza, evocazione – come in Saltarello de lu core, dove la chitarra battente ha infiammato il pubblico, e in Y suzar la noché, sospesa tra sensualità e mistero, guidata dal suono ipnotico del ney e dell’organo.
Impossibile non citare Lampedusa andata, frammento lirico e dolente sulle migrazioni, né El ejercito del Ebro, rilettura della canzone repubblicana spagnola che chiude il set regolare con un inno alla dignità.
Saletti, coadiuvato dagli storici membri della Banda Ikona, ha celebrato anche i 20 anni di questo progetto visionario. Un ensemble affiatato, potente, che ha saputo mescolare la raffinatezza musicale con la forza emotiva del racconto orale, senza mai perdere la rotta.
In chiusura, il bis Anima de moundo e Mediterraneo ostinato suggellano una serata che è stata molto più di una performance: è stata dichiarazione d’intenti, invocazione poetica, invito a non arrendersi all’odio. “Solo l’arte ci salva”, dice Saletti. E, alla fine di questo viaggio, gli crediamo.
Mediterranima non è solo un disco né un concerto: è una presa di posizione, un atto d’amore e di resistenza. E quella dell’8 maggio a Roma è stata una serata che lascia il segno, una di quelle rare in cui la musica riesce davvero a toccare l’anima.
Si ringraziano Auditorium Parco della Musica di Roma e Fabiana Manuelli Ufficio Stampa
Qui sotto la gallery della serata a cura di Chiara Lucarelli



































