2 DAYS PROG + 1 Festival 2025 – Day 1: TESSERACT and more

2 DAYS PROG + 1 Festival 2025 – Day 1: TESSERACT and more (Testo e Foto di Giovanni “GianRock” Cionci)

Veruno, come ogni anno, torna a vibrare sotto le stelle con il 2Days Prog+1, il festival progressive che tutto il mondo ci invidia. Siamo ospiti della prima e della terza giornata di Festival, rispettivamente 5 e 7 Settembre. Durante il Day 1, quattro esibizioni molto diverse per stile, ma tutte capaci di catturare un pubblico variegato, dai fedelissimi ai curiosi.

G.O.L.E.M.
Ad aprire il festival, i G.O.L.E.M. (acronimo di Gravitational Objects of Light, Energy and Mysticism), band italiana che sa da subito affermare una presenza scenica potente, immersiva, quasi rituale. La loro musica è un viaggio oscuro e visionario: ritmi spezzati, atmosfere dense, e un uso sapiente delle dinamiche.

Sul palco si percepisce una forte coesione: la batteria di Francesco Lupi guida con decisione senza strafare, il basso di Marco Zammati pulsa con una profondità ipnotica, l’hammond di Apollo Negri e le tastiere di Emil Quattrini costruiscono atmosfere e melodie oniriche. La voce espressiva di Marco Vincini, dal canto suo, si mostra capace di aperture melodiche che sfiorano il lirico, con effetti vocali dosati per potenziare il tono narrativo dei brani, veri e propri racconti sonori, più che semplici canzoni.
Un’apertura intensa, non concessiva, che ha stregato chi ama l’art rock denso e concettuale. Bravi!!!

Questa la setlist:

  • Gathering of the Legendary Elephant Monsters
  • Marble Eyes
  • Tale of the Oblivion Dance
  • Still Life Pt. 1: Born Erased
  • Still Life Pt. 2: Sons of Death
  • Gravitational Objects of Light, Energy and Mysticism

ROSALIE CUNNINGHAM

Rotto il ghiaccio, il testimone passa alla seconda artista in cartellone, vera rivelazione della serata: Rosalie Cunningham sale sul palco con un’eleganza che non è solo estetica, ma anche una promessa sonora. Voce limpida, timbro elegante, sinuoso: ogni frase vocale è curata, ogni intonazione calibrata.
Rosalie incanta con una voce chiara, morbida, dotata di un vibrato naturale che dà vita a ogni parola. Canta come se stesse recitando una pièce teatrale, con ironia, charme e precisione. Le sue linee vocali si muovono tra tonalità calde e aperture acute, senza mai perdere controllo o espressività.
La sua sicurezza scenica – muovendosi, inclinando il corpo, dialogando con gli strumentisti – regala al pubblico un’immagine magnetica.

La band che la accompagna è altrettanto efficace: l’hammond di Aaron B. Thompson crea atmosfere seventies, le chitarre di Rosco Wilson e della stessa Cunningham aggiungono colore e profondità, la sezione ritmica, che si fregia della presenza della polistrumentista (bassista per la serata) Acidq, supporta magnificamente il tutto. Il risultato è uno stile splendidamente decadente, che rapisce il pubblico, rimandandolo a tempi lontani..o forse solo immaginati durante una trance lisergica? L’intero set è pura magia e, al termine, l’ovazione è unanime. Superba!!!

Questa la setlist:

  • To Shoot Another Day
  • Timothy Martin’s Conditioning School
  • Heavy Pencil
  • The Smut Peddler
  • Spook Racket
  • Home
  • Rabbit Foot
  • Duet
  • Tristitia Amnesia
  • Donny, Pt. Two
  • Ride on My Bike
  • Dethroning of the Party Queen

ALEX HENRY FOSTER

Altro cambio palco ed è il momento di Alex Henry Foster. Il canadese porta sul palco una dimensione intima e collettiva allo stesso tempo: racconta storie, canta con il cuore in gola, e – letteralmente – raggiunge il pubblico a mani tese, stringendo decine di mani in un gesto di connessione autentica. È un gesto che amplifica la partecipazione emotiva: il pubblico non è semplice spettatore, diventa parte dell’atto performativo.

La voce di Foster ha momenti quasi confessionali, alternati a momenti più urlati, carichi di tensione. Passa con naturalezza da registri bassi e introspettivi a urla controllate e cariche di pathos. Ogni frase è un’esperienza, ogni parola sembra davvero vissuta.
La band, dal canto suo, è una macchina sensibile: lunghi crescendo, pause sospese, accordi aperti e delay dilatati che creano un paesaggio emotivo complesso. Nei brani come City on Fire o The Hunter, la voce si intreccia con i fiati e gli archi, dando vita a climax potenti.
Un set sentito, condiviso, che fa versare più di una lacrima tra i presenti. Foster non si limita a cantare: si dona. Emozionante!

Questa la setlist:

  • Up Til Dawn
  • I’m Afraid
  • The Son of Hannah
  • City on Fire
  • Summertime Departure
  • The Hunter (by the Seaside Window)

TESSERACT

A chiudere la serata ci pensano i britannici TesseracT, veri maestri del prog-metal moderno, con una performance che mescola impatto e sofisticazione. Il palco, al loro ingresso, appare essenziale: pochi orpelli, massima attenzione riservata all’aspetto sonoro: solo il Tesseract, l’ipercubo tetradimensionale da cui traggono il nome, campeggia luminoso sullo sfondo buio. E nell’essenzialità si presentano al pubblico di Veruno, con la prima traccia del primo album One, datato 2011: Concealing Fate Part 1: Acceptance. Il loro suono appare subito preciso come un orologio svizzero, ma mai freddo: le emozioni emergono sotto la superficie geometrica della loro musica. La scaletta alterna momenti dinamici e incendiari a passaggi atmosferici e sospesi, attingendo a brani di pressochè tutti gli album pubblicati, con un’attenzione particolare dedicata agli ultimi due, Sonder (2018) e War of Being (2023).

La voce di Daniel Tompkins è un esempio di controllo tecnico: tutto scorre con naturalezza apparente, ma con rigore tecnico evidente, passando da sussurri eterei ad uno scream carico di pathos, senza sbavature. Le armonizzazioni vocali dal vivo sono curate e il falsetto aggiunge un tocco quasi spirituale. La band lo sostiene con un interplay impeccabile: le chitarre di Acle Kahney e James Monteith interagiscono e dialogano, incessantemente, tessendo geometrie ritmiche che si intrecciano con le linee del basso fretless di Amos Williams senza impastarsi, mentre la batteria di Jay Postones detta cambi di tempo continui ma fluidi. Nei momenti più intensi, l’impatto è fisico: la pressione sonora si percepisce come spinta, senza che però la chiarezza venga compromessa. Nelle pause, si apprezza la cura nei passaggi ambientali, che danno respiro allo show.

L’interazione col pubblico è più contenuta rispetto alla toccante esibizione di Foster, ma la risposta è altrettanto calorosa: mani al cielo, cori, partecipazione collettiva.

Il gran finale, affidato alla title track War of Being, spazza letteralmente via le resistenze degli spettatori avvezzi a sonorità meno granitiche: una cattedrale sonora in cui ogni sezione strumentale e vocale contribuisce a costruire una narrazione epica. Una chiusura potente, chirurgica e visionaria, che non fa che confermare la statura della band. Pandimensionali!

Questa la setlist:

  • Concealing Fate, Part 1: Acceptance
  • The Grey
  • Natural Disaster
  • Echoes
  • Of Mind – Nocturne
  • King
  • Smile
  • The Arrow
  • Legion
  • Tourniquet
  • Concealing Fate, Part 2: Deception
  • Juno
  • War of Being


Cala il sipario su una prima giornata che offre progressione nell’intensità e varietà stilistica: si parte dall’oscurità atmosferica dei G.O.L.E.M., si passa per la luce elegante di Rosalie Cunningham e l’intimismo partecipato di Alex Henry Foster, e si chiude con la potenza strutturata dei Tesseract. Non c’è che dire: una serata che segna un ottimo biglietto da visita per l’intero festival.


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Giovanni Cionci

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